Visitare il Museo dello Studio Ghibli: il regno dei sogni e della follia

l’importanza di credere nella potenza dei sogni e abbandonare la concretezza delle convenzioni 

 

 

intervistatrice: “Quindi può dire che è il film che si lascia creare da lei?”

Miyazaki: “Sì, si può dire così … il film è un essere vivente” 

è questa la frase che più mi è rimasta impressa guardando il documentario dedicato allo Studio Ghibli dal titolo “Il regno dei sogni e della follia“. 

E’ quasi come se per Miyazaki ci sia qualcosa di ineluttabile nella creazione dei suoi film, un processo in cui sono i disegni, le immagini, i cartoni, ad arrivare a lui, a concedersi, a permettere di essere plasmati, e solo dopo un lungo processo, svelati al mondo. 

Miyazaki, che è un narratore e come tale racconta, trasmette, lascia liberi di esprimersi questi suoi film d’animazione, creature vibranti, piene di magia, nostalgia, dolore, ricolme della bontà ingenua dell’infanzia e al tempo stesso, anche, della crudeltà dell’essere umano.

Sono esseri di matita, colore, carta, schiusi ancora dal lavoro sempre manuale e non digitale, come ormai raramente accade, sono l’amore immenso di una persona per il proprio lavoro. 

E io lo avverto, sento tutto ciò, la dedizione, l’ineluttabilità del processo creativo, l’immaginazione incontrollata e incontrollabile, il fluire di storie che hanno bisogno di essere viste e provate, non solo per bambini, ma universalmente. 

E’ questo che fa lo Studio Ghibli e lo so, sembrerà banale, ma mi commuove, mentre vedo il documentario, mentre guardo uno dei tanti capolavori di Miyazaki, mentre si dipana il percorso espositivo del Museo

Un regno di sogni e follia lo hanno chiamato, giustamente, tanto effimero quanto impensabile eppure così incredibilmente capace di porgere al prossimo un momento in cui credere che l’impossibile sia davvero possibile. 

Pensieri di fine anno: l’arte di amare il Giappone … 来年

~ del perché ho deciso di trasferirmi in Giappone ~

C’è qualcosa di speciale nelle mattine di Tokyo, qualcosa di incommensurabile per me, qualcosa di drasticamente indefinibile e al tempo stesso dolorosamente buono.

E’ il sole che si alza, che qui assume una tonalità bianca e lucida, tanto cristallina da farmi pensare alla rinascita, al pulito immacolato di una sala chirurgica, come se con l’alba il mondo potesse giustamente riempirsi di bontà, dare un colpo di spugna al sudiciume della notte e colmare me di gioia e aspettative talmente grandi da poterle a stento afferrare, è il dono che questa città mi concede, qui e ora a Tokyo, come in nessun altro posto al mondo.

Sulle superfici lisce di case e palazzi, sulle mattonelle e sui vetri cangianti, raggi sparsi si stendono sulle guance pallide di una Tokyo che sbadiglia, dopo una notte ubriaca di luci al neon e bevute in izakaya fumosi.

Lo so perché sono le 6.00 del mattino e sto camminando per le strade praticamente deserte di Nippori, in uno degli ultimi giorni in terra giapponese.

Il sole sta sorgendo e pare prendermi una stretta al cuore.

C’è tutta questa luce intorno a me e un immenso, profondissimo silenzio.

La storia di come sono finita a cucinare gyoza fatti a mano, carbonara e a fare catechismo in Giappone contro la mia volontà ( WHY JAPAN? )

 

Devo dirlo, tra le tante storie strambe della mia vita giapponese questa si posiziona quasi alla pari di quella volta in cui dei tizi volevano abbordarci ricordando i fasti dell’amicizia Italia-Giappone durante la seconda guerra mondiale (true story ahimè).

Ma, studiosi di storia incompresi a parte, siamo qui per parlare di pasta (quella giapponese e quella italiana) e di misteri della fede, riguardo ai quali per credere non è necessario vedere ma sicuramente dà una mano il viverli in prima persona.

Perché a Tokyo, dove shintoismo e buddhismo la fan da padrone, io sono capace di finire a fare catechismo contro la mia volontà.

Perché a Tokyo quando io e Ale (che lei da buona romana: “la carbonara è una questione di orgoglio”) prepariamo gli spaghetti alla carbonara vendendo un rene per comprare della vera pancetta, del vero parmigiano e la pasta De Cecco ci sentiamo dire: “e gli spinaci?”

A Tokyo, proprio quella Tokyo, se preghi poi ti piovono addosso gyoza (e dico letteralmente).

Se tutto questo vi sembra impossibile, ve lo assicuro, è solo perché ancora non avete letto questo mio racconto …

Lo spirito dei Matsuri in Giappone e il Bon Odori: lavare via gli affanni, portare il buonumore

 

L’estate giapponese è puntinata di Matsuri, i festival tradizionali in cui le strade si riempono di banchetti di street food, lanterne, processioni di mikoshi (le portantine legate allo shintoismo) appoggiati sulle spalle di uomini in abiti tradizionali.

C’è chi canta e balla in mezzo alla strada, lo sfarfallio di ventagli, il clac clac di musica antica, ragazze e ragazzi in yukata, il suono di taiko battuti da piccoli palchi che sembrano torrette.

E’ un’atmosfera, quella dei Matsuri, tutta giapponese, così particolare e straordinaria, così tangibile da gettare il buonumore su tutto ciò che tocca, se la osservo, me ne rendo conto, rende le persone e la città sfavillanti.

Anche in una metropoli come Tokyo i Matsuri sfumano la routine, strappano risate, fanno vivere il momento in tutta la sua condivisione, perché per i giapponesi i Matsuri sono anche questo, attimi di comunità perfino nell’immensità di cemento, grattacieli e strade che è la capitale.

Dove talvolta è difficile incontrarsi, conoscersi, vivere il piccolo, il Matsuri riappacifica.

Nemmeno un quartiere come Shibuya, in cui la folla e la frenesia non si quietano mai, sfugge alla legge del Matsuri e capita, mentre sto facendo shopping al secondo piano di Forever21, che una musica tradizionale invada le strade del quartiere, tanto da farmi affacciare alle vetrate e scoprire così un coloratissimo corteo in festa.

E’ paradossale come la tradizione si appropri di spazi fatti di neon e grandi schermi, negozi alla moda e traffico perenne, eppure…

E’ lo spirito dei Matsuri, la festa anche dove vivere è complesso, perché ci si beve su, perché si mangia del buon cibo, perché si è assieme, si intona un canto che racconta di altri tempi, si balla in cerchio per il Bon Odori (un tipo di danza tradizionale collegata all’Obon) mimando la vita di campagna.

E’ qualcosa che scoperchia i buoni sentimenti, li spalma ben benino in ogni direzione.

Miyajima e il tempio che fluttua sull’acqua

~ itinerario di una settimana: day 7 ~

Intravedo già da lontano la magia di Miyajima, si arriva con il traghetto e pian piano si mangia con gli occhi il suo tempio galleggiante abbracciato dalla maree. E’ una sorsata abbondante di bellezza, di rosso e montagne verdi a coprire l’orizzonte,

E’ la tappa della riconciliazione, necessaria dopo il Parco della Pace di Hiroshima, che è un pieno di comprensione profonda, tanto pesante quanto importante,

E se Hiroshima, visitata la mattina della stessa giornata, è stato il mio groppo in gola voluto e cercato, Miyajima, l’isola appoggiata di fronte alla città, è ricerca di distensione.

Ho voluto vedere le brutture dell’essere umano e poi ritrovarne la capacità di creare bellezza…

Hiroshima mai più, in tutte le lingue del mondo

~ itinerario di una settimana: day 7 ~

Ci spostiamo verso le ultime due tappe del viaggio, scendendo verso il sud del Giappone: Hiroshima e Miyajima, gli ultimi colpi al cuore prima di tornare alla vita quotidiana a Tokyo, alla scuola, allo studio, alla spesa al mio amato Inageya.
Hiroshima è stata per me una città per apprendere, al di là dei libri di scuola, al di là del sentito dire. Ed è stata l’importanza di vedere con i propri occhi, di capire a un livello più profondo.                                                                        Nel cuore sventrato dell’A-Bomb Dome e tra i documenti e reperti del museo, nel verde del Parco della Pace e tra le file di origami colorati …

Kyoto parte 3.2 ~ Nara, tra i cervi e le luci dell’Obon

~ itinerario di una settimana: day 6 ~

 

Ultima mezza giornata a Kyoto e ne approfitto per immergermi ancora in quel Giappone tradizionale così sognato, così intensamente vissuto e sperimentato durante questa lunga settimana di viaggio.

La concedo tutta a Nara, conservata appositamente per questo ultimo giorno speciale, perchè viaggio dopo viaggio, siamo ormai nel fulcro dei festeggiamenti dell’Obon, la festa con cui in Giappone si onorano gli spiriti dei defunti e la città di Nara sta per riempirsi di lanterne…

(la prima parte della giornata la trovate invece raccontata in questo articolo → Fushimi Inari, Pontocho,Sanjusangendo)