Hiroshima mai più, in tutte le lingue del mondo

~ itinerario di una settimana: day 7 ~

Ci spostiamo verso le ultime due tappe del viaggio, scendendo verso il sud del Giappone: Hiroshima e Miyajima, gli ultimi colpi al cuore prima di tornare alla vita quotidiana a Tokyo, alla scuola, allo studio, alla spesa al mio amato Inageya.
Hiroshima è stata per me una città per apprendere, al di là dei libri di scuola, al di là del sentito dire. Ed è stata l’importanza di vedere con i propri occhi, di capire a un livello più profondo.                                                                        Nel cuore sventrato dell’A-Bomb Dome e tra i documenti e reperti del museo, nel verde del Parco della Pace e tra le file di origami colorati …

 

Ed è diverso, diverso mille volte dal solo leggerne, perché Hiroshima è pregna di significato e prenderne piena coscienza è una cosa che va fatta. E persino stare male di fronte alle storie raccontate all’interno del museo, sì persino questa secondo me, è una cosa che va fatta. E’ così che mi avventuro all’interno del Parco della Pace, un’immensa area verde che sorge oggi dove un tempo c’era l’importante distretto commerciale della città, obiettivo primario della bomba, voglio capire bene, voglio sentire bene.

Voglio ascoltare ciò che dice l’ A-Bomb Dome, unico edificio della zona parzialmente rimasto in piedi, quali storie porta con se il Cenotafio delle Vittime della bomba atomica, sentire se il Children Peace Monument sussurra qualche parola un pò più serena, circondato da colori e messaggi di pace com’è, e se è anche vero che ricorda chi troppo piccolo è stato portato via dalla bomba, vedere i bambini che in fila ne suonano la campana fa pensare al futuro e alle cose buone della vita.

E’ un testo che canta sofferenza, quello che ne ricavo, e se ne guardo attentamente le lettere sento di non poter leggere oltre, eppure allo stesso tempo, è una lirica che inneggia alla coscienza, scuote dal torpore, impasta consapevolezza, e nel suo dolore immeritato trova uno scopo più alto.

Le storie più difficili però, quelle di cui gli altri non parlano, le racconta il Museo della Pace.

E’ un dolore, quello che apprendo attraverso questo museo, che sta nelle grandi cose: nelle morti delle persone, nella città in frantumi, nelle malattie fulminee e devastanti e in quelle latenti presentatesi anche a distanza di molti anni.

Ed è un dolore che sta anche nelle piccole cose, nella quotidianità distrutta e congelata di un orologio fermo al momento dell’esplosione, di vestiti di bambini lacerati e anneriti, di un triciclo carbonizzato, di una bottiglia il cui fondo di vetro è gocciolato via deformandosi in grumi verdi.

E non sono i grandi personaggi della storia quelli a essere maggiormente ricordati all’interno del museo, né tanto meno sono loro quelli che ti si impregnano addosso. Sono le persone comuni, la donna con la trama del kimono stampata sulla pelle a causa del calore dell’esplosione, le ferite, le deformità, le famiglie svanite nel nulla.

E’ difficile da digerire. Zitta, mi dico, e mi sento male.

Perché quello del museo è il racconto della vita di tutti giorni evaporata via, di una pace che non deve essere data per scontata, è il racconto di persone che potrebbero essere me, te, voi e dei loro oggetti comuni che ne tramandano, a brandelli, l’ esistenza e che portano, oggi, un vivido segno della sofferenza di allora.

E’ l’impressione mortificante, cruda, che solo il reale lascia addosso.

 

 

 

 

 

 

Ed è questa Hiroshima, una parte di Hiroshima almeno, che ignorare è impossibile, il passato è ciò che è stato ma Hiroshima ci ha fatto fiorire il verde sopra.

Hiroshima è un groppo in gola.

Hiroshima è quando ti si chiude lo stomaco e non hai niente da dire.                                                                                    Hiroshima è un monito.                                                                                                                                                                      Ed è però, sopra ogni cosa, con tutte le sue forze e con tutte le forze di chi crede nel cambiamento, una città di pace, una città di speranza, in modo che ciò che è stato non sia mai più.

Una città di origami, colombe variopinte, gru di carta sgargiante, più di 10 milioni l’anno, posate da chi prega, chi spera.                                                                                                                                                                                                      Perché il messaggio è lo stesso, scritto in alfabeto latino, kanji, hanzi, hangul, sul libro delle firme alla fine della mostra: Hiroshima mai più, in tutte le lingue del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per scoprire di più sull’itinerario di una settimana in giro per il Giappone

→ Matsumoto ~ day 1

→ Takayama ~ day 2

→ Kanazawa ~ day 3

→ Kyoto parte 1 ~ day 4

→ Kyoto parte 2 ~ day 5

→ Kyoto parte 3.1 Fushimi Inari, Pontocho, Sanjusangendo ~ day 6

→ Kyoto parte 3.2 Nara ~ day 6 




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