Oggi prima lezione alla Akamonkai (la scuola di lingue in cui seguirò il corso di Giapponese).
La scuola si trova a Nippori, in una zona sonnacchiosa che pare un piccolo villaggio nella grande metropoli, la gente va e viene con tranquillità, non c’è frenesia in questa parte di Tokyo.
La scuola è davvero bella, organizzata, e di livello, e non posso che essere contenta della scelta fatta. La professoressa è una signora giapponese dalla risata genuina, piccola di statura ma grande nell’entusiasmo dell’insegnare.
I compiti sono molti ed è richiesto un certo impegno, ma sono qui per migliorare e spero di riuscirci. Le ore di lezione passano in fretta, mai pesanti, e si fa molta conversazione: come ogni lingua, e forse più di altre, il giapponese ha bisogno di molta pratica ma soprattutto di pazienza. Riempire fogli fitti di kanji, un tratto dopo l’altro, più e più volte e sfruttare ogni occasione per impratichirsi nella conversazione.
Finite le lezioni alle 16.30 scegliamo come meta Ikebukuro con la scusa di andare a prelevare al SevenEleven
che si trova non lontano dalla stazione (dato che al Family Mart sotto casa non siamo riuscite), e poi fare la spesa da Daiso (uno hyaku en shop- un negozio a 100 yen,) e fare nel frattempo una passeggiata in un quartiere ancora inesplorato.
Ikebukuro è un quartiere attivo, un pò come Shinjuku, ma anche luogo di otaku, un pò come Akihabara, e
infine sede di divertimenti (sale giochi, karaoke) che animano la vita notturna tokyota, e centri commerciali.
La giornata è grigia, una pioggerellina fine scende senza posa bagnando le strade, così i
colori sfumano e si riflettono.
Arrivate al SevenEleven parte la nostra Odissea: far funzionare la macchinetta dell’ATM. Molte cose pratiche non sono di immediata intuizione, non perché magari le procedure non siano facili ma perché proveniamo dall’altra parte del mondo, dove semplicemente tal cosa si fa diversamente. Ecco prelevare è una di queste cose, quantomeno al SevenEleven la macchinetta fa selezionare English mentre al Family Mart era tutto in kanji (perché noi siamo
esperte delle parole riguardanti le operazioni bancarie ovviamente).
Disperate chiediamo in inglese (per cause di forza maggiore: non sappiamo come si dica prelevare in giapponese) a un commesso piuttosto giovane che al suono di lingua foriera strabuzza gli occhi, e con una faccia spaventatissima (e non capendo un tubo di ciò che gli diciamo) ci segue comunque fino all’ATM (secondo vero spirito di sacrificio giapponese, a giudicare dalla sua espressione).
Alla fine comunque neanche lo spirito di Yamato in lui ce la fa contro l’inglese, e sparisce nel retro del negozio, rispuntando con un altro commesso che capendo un pò di più l’inglese cerca di aiutarci, lo vedo che gongola per la cosa, del tipo: evviva, aver studiato inglese mi sta servendo, ma che alla fine ci sbologna al centro assistenza. Qui una signorina dalla dubbia pronuncia ci comunica infine che non può aiutarci abbandonandoci al nostro destino. Bene, non ci resta che adottare il trucco più vecchio del mondo: schiacciare pulsanti a caso sperando vada tutto liscio (no ok, un po’ di criterio ce l’abbiamo messo sia chiaro).
Comunque per evitarvi paranoie mentali se mai andrete in Giappone selezionate withdrawal –> credit, e se vi dice che non potete prelevare meno di 10000 yen (72 euro circa) è normale. Dopo aver perso 10kg in sudore possiamo finalmente andarcene dal conbini in pace, ignare che sta per iniziare l’Odissea numero 2: trovare il Daiso.
Ma prima, in un momento di quiete, ci fermiamo per qualche foto veloce, affascinate dai negozi e dalle
insegne.
(un altro negozio di vestiti kawaii e la sua commessa)
Non avendo la connessione internet sul cellulare ci organizziamo prima con mappe e quant’altro, ma anche
così non ci si rende sempre conto delle distanze reali. Dunque torniamo verso la stazione, dato che il Daiso si trova all’interno del Sunshine City, un immenso centro commerciale, che si raggiunge dall’uscita opposta rispetto a quella presa per andare al SevenEleven. A stima avanziamo, e trovato un sottopassaggio giungiamo di fronte a una strada molto larga, attraversiamo e proseguiamo a destra, poi a sinistra e ancora dritti,ci facciamo i chilometri
insomma, ma del Sunshine City non c’è traccia (eppure è bello grosso). Tentiamo di chiedere informazioni a delle studentesse, ma queste ci ignorano e tirano dritto; per una volta che abbiamo veramente bisogno di indicazioni stradali non c’è il solito giapponese-ninja che spunta alle spalle dal nulla in nostro soccorso.
Oggi, lo abbiamo capito,è la giornata del chi fa da se fa per tre e proseguiamo a caso facendo altri chilometri, fin quando sollevato lo sguardo la scritta Sunshine City ci compare davanti. Sollevate pensiamo di aver concluso
finalmente la ricerca (illuse), ma sui cartelli con scritti i negozi per ogni piano non c’è traccia del Daiso.
Dentro è immenso, e ci toccano altri chilometri solo all’interno del piano terra, siamo stanchissime e ancora senza risultati. Ma un banco informazioni compare in una visione celestiale e con un 百円ショップはどこですか
(dove si trova lo hyaku en shop?) riceviamo finalmente indicazioni.
Ma dentro al Daiso un’altra prova mi aspetta, perchè la carta igienica è cosa malvagia e va nascosta, è messa
veramente in alto dentro dei cestoni-prigione inespugnabili. E vuoi mica andare a chiedere ai commessi di prenderti la carta igienica che loro hanno tentato di nascondere, sia mai, così la sottoscritta si arrampica su una scaletta e tenta di buttarlo giù con la cosa più lunga trovata nel reparto bagno (lo scopettone del gabinetto olé), finchè una ragazza giapponese mossa a pietà chiama un commesso altissimo (grazie gentile sconosciuta, grazie commesso-palo della
luce giapponese)
(invece che aiutarmi Isa e Ale mi fanno le foto, grazie ragazze XD )
Almeno per comprare detersivo delle lavatrice, sapone per lavare i piatti e spugnetta, il sapone per le mani e un
pacco della famigearta carta igienica (e fare tutta sta fatica) posso dire che abbiamo speso l’equivalente di circa 4 euro.
Per premiarci ci fiondiamo all’Animate (una delle catene di negozi che vendono manga e qualsiasi relativo gadget).
E dentro è più o meno il paradiso, un overdose di manga e anime come mai prima mi era capitata. La quantità
tutta assieme non assomiglia a niente che vedrete mai in Italia.
L’assurda figaggine del posto si vede anche dai dettagli e noi siamo tutto un ommioddiochefigoquello/ ommioddiochefigoquell’altro: vaneggiamenti nerd che ci ripristinano le energie.
(le porte degli ascensori)
(le scale)
Pareti tappezzate di poster e cose assolutamente risapute:
-tutti guardano Free per i contenuti profondi, le allegorie dantesche e il fanservice come se non ci fosse un domani)
Ma il vero tesoro, l’alpha e l’omega, il Santo Graal di ogni Animate è a mio avviso il reparto gadget.
Ce n’è per tutti i gusti, gadget a perdita d’occhio, in un’esplosione di colori e forme, pacchetti ammonticchiati che confondendo e ubriacano l’occhio curioso.
All’ultimo piano troviamo una lavagna per i disegni e decidiamo di lasciare traccia del nostro passaggio.
(italiano in mezzo a kana e kanji, lo vedete?)
Affamatissime, ci fermiamo in un ristorantino di ramen nella stessa via dell’Animate.
Ogni ristorante giapponese che si rispetti ha una vetrinetta fuori con copie in cera, riproduzioni fedeli dei piatti cucinati.
Sedute come al solito al bancone ordiniamo tutte e tre lo stesso ramen e quello che ci portano è un capolavoro di piatto. Pagato solo 390 yen – circa 3 euro è il ramen più buono che io abbia mai mangiato, si sente il sapore di ogni ingrediente.
(un ramen delizioso per scaldare l’animo in un Ikebukuro un po’ piovoso)
Qua in Giappone non è un problema fare rumore mentre si mangia e il nostro vicino di bancone è medaglia d’oro. Il suo livello di risucchio it’s over 9000. Proviamo anche noi, ma le nostre non sono
altro che tristi e slavate imitazioni rispetto al suo sommo potere da turbina industriale. Fa cento volte più rumore lui risucchiando spaghetti (cibo solido) che noi risucchiando il brodo del ramen (cibo
liquido): dobbiamo allenarci, la via al sommo risucchio è lunga.
Dopo cena ci fermiamo in una sala giochi che fa angolo tra la via del ristorante e la via principale della zona (quella al cui fondo si trova Sunshine City). Le sale giochi sono luoghi molto frequentati dai giapponesi e
anche qui musica, luci e colori non ci abbandonano.
(un ufo catcher di Rilakkuma)
Io voglio assolutamente provare Taiko no Tatsujin, un gioco divertentissimo che qui è davvero popolare, ma che in Europa non esiste, così trascino Ale in una partita.
(sfida a colpi di tamburo)
(Lei alla sala giochi ci va vestita così, passi piccoli e geta che sbatacchiano. Sfila qualche moneta da 100 yen dalla sua borsa color Big Babol e la infila nell’ufo catcher di Haikyuu, in quello stridere di tradizione e modernità tutto tipico del Giappone)
( un ufo catcher pieno di panda e pupazzi di Ranma)
Ed eccoci giunti al “Cose che assolutamente non sapevo”:
-per buttare la spazzatura e fare la differenziata qui ci vuole una laurea in astrofisica, ma mi abituerò
(spero). In più non esistono i cestini per strada, la spazzatura devi portartela a casa e lì buttarla.
– i commessi continuano a stupirmi, hanno un modo tutto gentile e aggraziato di mostrarti il resto prima
di dartelo in mano, in più perfino quelli che (poveretti) lavorano fino alle 10 di sera e oltre, sorridono sempre all’ お客様/okyakusama (il cliente). E la trovo una cosa bellissima.